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a cura di : franco.natali@tos.camcom.it
Newsletter n°  8 -  giovedì 20 agosto 2020 - anno  19

 

Attività Istituzionale
Effetto Covid-19 anche sulle imprese di stranieri: nel I semestre aumento di 6mila unità ma è il 40% in meno dello scorso anno
Sono oltre 620mila, 1 su 10 di tutte le imprese in Italia, 3 su 4 sono imprese individuali La Toscana (14,2%) resta la regione di elezione dell’imprenditoria straniera Marocco, Cina e Romania i paesi di origine più rappresentati

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Continua a crescere la comunità delle imprese di stranieri in Italia ma l'effetto della pandemia ne frena l'espansione. Nel primo semestre del 2020 il saldo tra le nuove imprese e quelle che hanno chiuso i battenti si è attestato a 6.119 unità, portando lo stock di imprese di stranieri a raggiungere il valore di 621.367 unità, l'1% in più rispetto al 31 dicembre scorso. Se confrontato con lo stesso dato del 2019, il progresso evidenzia però un forte "effetto-frenata" dovuto al Covid-19: tra gennaio e giugno dello scorso anno, infatti, il bilancio tra aperture e chiusure di imprese di stranieri aveva fatto segnare 10.205 imprese, il 40% in più rispetto al dato di quest'anno.

E' quanto risulta dalla fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sulle imprese di stranieri nel periodo gennaio-giugno dell'anno in corso, a partire dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio.

 

La concentrazione maggiore di imprese di stranieri continua a registrarsi in Toscana, dove il 14,2% di tutte le attività economiche ha origini fuori dall'Italia. Liguria (13,7) e Lombardia (12,6) sono le regioni che seguono da vicino, insieme a Lazio, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia (tutte oltre il 12%). Con più del 10% anche il Veneto e Piemonte. La provincia a maggior tasso di imprenditoria straniera resta saldamente quella di Prato, con una quota del 30% sul totale delle iniziative imprenditoriali locali. Molto distanziata (con il 17,3%) segue Trieste, mentre altre quattro province (Firenze, Imperia, Reggio Emilia e Milano) si collocano oltre la soglia del 15%. Nei primi sei mesi del 2020, i progressi più sensibili hanno riguardato Roma (con 832 imprese di stranieri in più tra gennaio e giugno), Milano (+515) e Torino (+499) che occupano anche le prime tre posizioni in termini di numerosità assoluta di iniziative di stranieri (rispettivamente con 70.898 nella capitale, 58.316 nel capoluogo meneghino e 27.175 in quello sabaudo).

La forma giuridica più diffusa resta quella dell'impresa individuale (475mila unità pari il 76,5% del totale, una quota di molto superiore alla media italiana, ridottasi negli ultimi decenni a circa il 52%). Poco meno di 100mila imprese di stranieri adottano invece la forma di società di capitali (96.964 unità, il 15,6% del totale).

Le attività in cui si registrano il maggior numero di inziative di stranieri sono il commercio (circa 160mila), l'edilizia (120mila) e l'alloggio e ristorazione (48mila). Guardando però all'incidenza di queste realtà sul totale delle imprese operanti in Italia, i settori con l'incidenza più elevata di imprese di stranieri sono le telecomunicazioni (32,9%) e la confezione di articoli di abbigliamento (dove si arriva al 32%).

 

 

L'imprenditoria individuale: un focus sui paesi di origine

Limitando il campo di osservazione alle sole imprese individuali (l'unica forma giuridica per la quale è possibile associare univocamente la nazionalità del titolare a quella dell'impresa), i dati restituiscono un'immagine nettamente strutturata delle provenienze degli imprenditori stranieri. La comunità più numerosa (con 63.619 attività) è originaria del Marocco, seguita da quella cinese (52.727) e da quella romena (52.014). Più distanziata la coppia Albania (34.020) e Bangladesh (30.528).

 

L'analisi condotta attraverso il Registro delle Imprese fa emergere, inoltre, profili molto diversi da paese a paese quanto a creazione di cluster territoriali. Ad esempio, la comunità marocchina - la più numerosa in assoluto - è poco concentrata a livello territoriale con una presenza che raggiunge il massimo a Torino, dove ha sede il 7,1% dei tutte le attività originarie da quel paese. All'opposto, comunità più piccole - come quella egiziana o del Bangladesh - si segnalano per una forte tendenza alla concentrazione territoriale, al punto che nella sola Milano si raccoglie il 43,5% di tutte le imprese con un titolare nato in Egitto e a Roma ha messo le radici il 42,3% di tutti gli imprenditori provenienti dal Golfo del Bengala. Allo stesso modo si possono delineare cluster settoriali legati ai paesi di origine dei titolari: ad esempio, l'85% della presenza senegalese è nel commercio, come anche il 70% circa di nigeriani, marocchini e albanesi, mentre opera nelle costruzioni il 59% dei romeni e il 40% degli egiziani. 

 

 

L'IMPRENDITORIA STRANIERA IN ITALIA AL 30 GIUGNO 2020

 

Imprese di stranieri* - Iscrizioni, cessazioni e saldi nel primo semestre del periodo 2015-2020

 

Anno

Imprese di stranieri nel I semestre 2020

 

Totale imprese registrate

al 30 giugno

di cui straniere

Registrate

al 30 giugno

Iscrizioni

Cessazioni

Saldo

2020

621.367

23.860

17.741

6.119

6.069.607

10,2%

2019

609.929

35.478

25.273

10.205

6.092.374

10,0%

2018

596.000

32.222

22.318

9.904

6.094.624

9,8%

2017

580.303

32.179

21.780

10.399

6.079.761

9,5%

2016

563.025

34.543

21.104

13.439

6.070.045

9,3%

2015

539.276

37.314

20.969

16.345

6.045.771

8,9%

Fonte: Unioncamere-InfoCamere, Movimpres

 

 

Imprese di stranieri - Iscrizioni, cessazioni e saldi per classi di natura giuridica nel I semestre 2020

Classe di Natura Giuridica

Imprese registrate

al 30 giugno 2020

Iscrizioni

Cessazioni

Saldo

 

Val. assoluto

Val. %

     

SOCIETA' DI CAPITALE

96.964

15,6%

4.153

1.169

2.984

SOCIETA' DI PERSONE

38.965

6,3%

626

676

-50

IMPRESE INDIVIDUALI

475.433

76,5%

18.935

15.727

3.208

ALTRE FORME

10.005

1,6%

146

169

-23

Totale

621.367

100,0%

23.860

17.741

6.119

Fonte: Unioncamere-InfoCamere, Movimprese

(*) Per imprese di stranieri si intende l'insieme delle imprese in cui la partecipazione di persone non nate in Italia risulta complessivamente superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite.

 

 

 

Imprese di stranieri - Iscrizioni, cessazioni e saldi per regioni nel I semestre 2020

 

Regione

Imprese di stranieri nel I semestre 2020

Totale imprese al 30 giugno

di cui straniere

Registrate al 30 giugno

Iscrizioni

Cessazioni

Saldo

ABRUZZO        

14.474

503

413

90

148.116

9,8%

BASILICATA    

2.269

89

58

31

60.307

3,8%

CALABRIA      

14.770

343

386

-43

186.926

7,9%

CAMPANIA      

47.333

1.438

1.255

183

597.756

7,9%

EMILIA ROMAGNA

55.178

2.327

1.645

682

449.694

12,3%

FRIULI-VENEZIA GIULIA

12.327

475

416

59

101.101

12,2%

LAZIO         

83.069

2.775

1.751

1.024

661.967

12,5%

LIGURIA       

22.072

884

639

245

161.498

13,7%

LOMBARDIA     

119.367

4.743

3.594

1.149

948.461

12,6%

MARCHE         

16.324

609

497

112

167.093

9,8%

MOLISE        

2.219

74

74

0

35.240

6,3%

PIEMONTE      

45.522

2.207

1.456

751

426.047

10,7%

PUGLIA        

19.986

828

599

229

381.352

5,2%

SARDEGNA      

10.548

280

196

84

169.353

6,2%

SICILIA       

28.246

929

694

235

467.773

6,0%

TOSCANA       

58.170

2.335

1.814

521

409.806

14,2%

TRENTINO - ALTO ADIGE

7.957

427

266

161

109.967

7,2%

UMBRIA        

8.874

380

285

95

93.912

9,4%

VALLE D'AOSTA 

730

43

26

17

12.243

6,0%

VENETO        

51.932

2.171

1.677

494

480.995

10,8%

ITALIA

621.367

23.860

17.741

6.119

6.069.607

10,2%

Fonte: Unioncamere-InfoCamere, Movimprese

 

Top 10 province per incidenza % sul totale imprese al 30.06.2020

 

Top 10 province per crescita nel I sem. 2020

Province

% sul totale

 

Province

Tasso di crescita

PRATO        

30,0%

 

TRAPANI      

4,7%

TRIESTE      

17,3%

 

RIETI        

3,1%

FIRENZE      

16,9%

 

BRINDISI     

2,6%

IMPERIA           

16,5%

 

FERMO        

2,4%

REGGIO EMILIA

15,7%

 

BOLZANO      

2,4%

MILANO       

15,5%

 

AOSTA        

2,4%

GENOVA       

14,1%

 

MATERA       

2,3%

ROMA         

14,1%

 

VITERBO       

2,3%

LODI         

13,2%

 

CUNEO        

2,2%

TERAMO       

13,0%

 

FORLI' - CESENA

2,0%

Italia

10,2%

 

Italia

1,0%

 

 

Top 10 province per saldo nel I sem. 2020

 

Top 10 province per numero di imprese al 30.06.2020

Province

Saldo

I sem.2020

 

Province

Imprese registrate

ROMA         

832

 

ROMA         

70.898

MILANO       

515

 

MILANO       

58.316

TORINO       

499

 

TORINO       

27.175

VERONA       

173

 

NAPOLI        

25.029

BRESCIA      

169

 

FIRENZE      

18.313

VENEZIA      

150

 

BRESCIA      

13.242

MONZA E BRIANZA

140

 

GENOVA       

12.076

BOLOGNA      

139

 

BOLOGNA      

12.039

CASERTA      

128

 

VERONA       

11.875

PRATO        

126

 

CASERTA      

10.838

Italia

6.119

 

 

Italia

621.367

 


 

Imprese di stranieri per le principali attività economiche al 30 giugno 2020

Valori assoluti e incidenza sul totale delle imprese di ciascuna attività

Attività

 

Totale imprese di stranieri

Totale imprese

 

% straniere sul totale

Commercio al dettaglio

159.171

823.685

19,3%

Lavori di costruzione specializzati

117.100

514.997

22,7%

Attività dei servizi di ristorazione

48.017

395.400

12,1%

Commercio all'ingrosso

37.352

501.758

7,4%

Costruzione di edifici

23.976

300.446

8,0%

Altre attività di servizi per la persona

20.773

204.906

10,1%

Confezione di articoli di abbigliamento

16.746

52.292

32,0%

Attività di supporto per le funzioni d'ufficio e altri servizi alle imprese

16.682

84.312

19,8%

Coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali

16.284

712.130

2,3%

Attività di servizi per edifici e paesaggio

15.769

78.761

20,0%

Commercio all'ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli

13.987

172.856

8,1%

Trasporto terrestre e mediante condotte

9.692

126.109

7,7%

Fabbricazione di prodotti in metallo (esclusi macchinari)

7.712

105.647

7,3%

Attivita' immobiliari

6.613

293.727

2,3%

Fabbricazione di articoli in pelle e simili

5.254

23.790

22,1%

Altre attività professionali, scientifiche e tecniche

4.403

66.598

6,6%

Riparazione di computer e di beni per uso personale e per la casa

4.381

39.149

11,2%

Alloggio

3.811

62.849

6,1%

Magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti

3.587

33.568

10,7%

Telecomunicazioni

3.327

10.105

32,9%

Attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale

3.102

69.811

4,4%

Altro

83.628

1.396.711

6,0%

TOTALE

621.367

6.069.607

10,2%

Fonte: Unioncamere-InfoCamere, Movimprese

 

 

 


Presentato il IV Rapporto sull’imprenditoria femminile
Una impresa su cinque al femminile, ma la pandemia ne ha bloccato la rincorsa

" "Il Covid rallenta la rincorsa delle donne di impresa ma non ne intacca la tenacia e la voglia di mettersi in gioco.

 

E' quanto emerge dal IV Rapporto sull'imprenditoria femminile, presentato il 27 luglio scorso.

 

Il milione e 340mila imprese guidate da donne, pari al 22% del totale, negli ultimi 5 anni sono cresciute ad un ritmo molto più intenso di quelle maschili (+2,9% contro +0,3%), espandendosi soprattutto  - e con una intensità maggiore delle imprese di uomini - anche in settori più innovativi, come le Attività professionali scientifiche e tecniche, l'Informatica e le telecomunicazioni.

 

L'emergenza Covid, però, sembra aver frenato la voglia di tante aspiranti imprenditrici di mettersi in proprio. Tra aprile e giugno, infatti, le iscrizioni di nuove aziende femminili sono oltre 10mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019, con una flessione, pari al -4,3%, superiore a quella registrata dalle attività maschili (-35,2%).

 

Anche per effetto di questo calo, a fine giugno l'universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno. Questa dinamica inoltre rischia di rallentare quel processo di rinnovamento che si sta realizzando nelle generazioni più giovani. Come mostra l'indagine campionaria contenuta nel Rapporto, effettuata a ridosso dello scoppio della pandemia, sebbene le giovani donne d'impresa abbiano una minore propensione all'innovazione rispetto ai coetanei uomini, investano meno nelle tecnologie di gitali di Industria 4.0, siano meno internazionalizzate e abbiano un rapporto non facile con il credito, sono un sistema che condivide, in misura spesso più diffusa dei colleghi uomini, una serie di valori fondanti. L'impresa giovanile femminile, infatti, è più attenta all'ambiente, guidata soprattutto dall'etica e dalla responsabilità sociale, nasce da un forte desiderio di valorizzare le proprie competenze ed esperienze professionali, dà lavoro di più ai laureati e intesse rapporti più stretti e frequenti con la comunità territoriale. 


Difficile, ma non impossibile, il recupero post covid per le aziende pisane
Più della metà delle aziende pensa di recuperare nella prima metà del 2021. Particolarmente colpiti i settori più aperti ai mercati internazionali e orientati alla domanda finale dei consumatori. Il 15% delle imprese ha fatto ricorso al lavoro agile

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Nel corso della consueta rilevazione mensile del Sistema informativo Excelsior, realizzata in accordo con ANPAL e Unioncamere dal 29 maggio al 9 giugno 2020, sono state poste alle imprese con dipendenti della provincia di Pisa una serie di domande per avere un quadro aggiornato della situazione.

 

Il quadro che emerge dai dati - afferma il Presidente della Camera di Commercio di Pisa, Valter Tamburini - è molto pesante ma lascia intravedere qualche elemento positivo. Pesante perché mette in luce una situazione molto delicata soprattutto per quegli spezzoni della nostra economia che andavano bene prima della pandemia come il turismo e in parte anche la meccanica e la moda. E' invece positiva la capacità di reazione delle imprese che non solo pensano a ripartire in sicurezza riqualificando il personale, ma colgono questo momento estremamente difficile per investire sul digitale che in questo frangente, ma non solo, diventa un elemento estremamente importante."

 

Alla fine della prima fase covid, nel periodo 29 maggio - 9 giugno 2020, il 30% delle imprese con dipendenti della provincia di Pisa (si tratta di oltre 3mila unità) si collocavano su posizioni non troppo lontane dalle condizioni operative precedenti, mentre la maggior parte delle imprese, il 64% (quasi 7mila), ha dichiarato di operare a regimi ridotti rispetto alla situazione pre-covid mentre il 6% (circa 700) erano ancora sospese o stavano valutando di non riprendere l'attività.

 

La lettura della situazione delle imprese a livello settoriale aiuta a descrivere il diverso impatto prodotto dalle norme sul lockdown: i servizi alle avanzati imprese (finanziari, assicurativi, informatici, ecc.) essendo tra i comparti cui la crisi ha richiesto un particolare impegno, pur dovendosi riorganizzare, hanno conservato una continuità nelle attività che ha consentito di presentarsi alla fase del riavvio valori che si aggirano intorno al 50% delle imprese nelle condizioni operative pre-crisi. All'estremo opposto la filiera del turismo-ristorazione dove il 77,5% delle imprese si sono rimesse in attività a regimi ridotti mentre il 18,7% sta valutando di arrivare alla chiusura o al prolungamento della sospensione, una situazione che potrebbe modificarsi sulla base dell'effettivo andamento della stagione estiva. Tra gli altri comparti del terziario che hanno avvertito in modo pesante gli effetti del lockdown troviamo il commercio ed i servizi alle persone, in questo ultimo comparto la quota di aziende chiuse o dove si valuta la chiusura arriva al 13,9%. Anche sul versante dell'industria il quadro rimane critico con il 63,3% delle imprese che operano ancora a regime ridotto e punte del 74% nella moda dove, come noto, cuoio e calzature sono settori di punta.

 

Contrariamente a quanto accade a livello nazionale la presenza stabile sui mercati internazionali e la maturità digitale delle imprese non rappresentano, almeno in questo frangente, fattori rilevanti nell'affrontare la crisi. Se è infatti vero che solo il 3,8% delle imprese vocate all'export non ha ancora riavviato l'attività o valuta la chiusura, il 65,7% opera ancora a regime ridotto. Per le aziende considerate digitali solo il 5,1% non ha ancora riavviato l'attività o valuta la chiusura, mentre il 59,4% lavora a scartamento ridotto.

A determinare questa differenza è ovviamente la diversa composizione del tessuto produttivo con Pisa che risulta relativamente più specializzata nel turismo e nella moda, comparti oggettivamente colpiti in modo più forte rispetto ad altri.

 

Alla data di realizzazione dell'indagine, il 42,2% delle imprese pisane (oltre 4mila) ha presentato domanda per accedere alle misure di sostegno previste dal Decreto liquidità contro una media nazionale ferma al 37%: di queste il 59% risulta essere già stato approvato. Oltre ai finanziamenti previsti dal Decreto liquidità, per assicurarsi i fondi necessari, il 27,4% delle imprese ha utilizzato linee di credito bancario già in essere, richiesto anticipi sulle fatture, ovvero l'attivazione di prestiti e i finanziamenti previsti dalla regione.

 

Lo shock causato dall'emergenza sanitaria globale e le misure adottate per contenerne la diffusione hanno inciso in maniera profonda sulle modalità operative e organizzative delle imprese e le conseguenze tendono a ridimensionarsi con molta lentezza ed il sentiment delle imprese è orientato all'incertezza. Infatti, solo il 10% del totale non ha subito contraccolpi produttivi e perdite economiche significative nel corso del lockdown, mentre gli effetti di questa crisi hanno reso particolarmente difficile l'orizzonte di business della stragrande maggioranza delle imprese: l'89% del totale imprese con almeno 1 dipendente (un valore superiore alla media nazionale dell'85%) non ha ancora assorbito le ripercussioni della crisi e oltre la metà di queste (54%)  si attende di poter superare questa fase solo nella prima metà del 2021. Un percorso dunque che si presenta in salita visto che un ulteriore 33% pensa di recuperare entro la fine del 2020 il ritorno a risultati operativi accettabili mentre un 7% conta di aver recuperato entro luglio e un altro 7% entro ottobre dell'anno in corso.

Peggiore la situazione delle imprese che intrattengono rapporti di affari con l'estero, per questa categoria il 59% delle aziende conta di recuperare nel 2021: pesano su questo gruppo le difficoltà più volte ricordate legate alla netta contrazione dei flussi commerciali e turistici internazionali.

 

Considerando i diversi settori tra i comparti che hanno potuto riprendere le attività immediatamente dopo la fase di più stretto lockdown, le imprese delle costruzioni evidenziano la situazione migliore, con quasi l'11% degli operatori che ritiene di vedere il superamento delle difficoltà entro fine luglio e un ulteriore 8% che lo attende per fine ottobre, sebbene la quota di quelle che non hanno subito perdite nel periodo di sospensione obbligata sia piuttosto contenuta (intorno al 6%). Le migliori prospettive messe in luce dalle costruzioni sembrano legate ai provvedimenti per la riqualificazione e dell'edilizia abitativa e scolastica (anche in ottica green come l'ecobonus) fino ai grandi investimenti pubblici e alla semplificazione amministrativa dei procedimenti per la realizzazione e gestione delle infrastrutture strategiche.

Tra i comparti che mostrano una miglior capacità di reazione alla fase più pesante della crisi ci sono alcuni dei settori la cui piena efficienza si è dimostrata "essenziale" nel corso di questa crisi, come i servizi avanzati di supporto alle imprese (il 71% degli operatori che già nel 2020 conta di raggiungere i livelli pre-covid entro fine anno), le industrie meccaniche ed elettroniche ed i servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (55%), quelli informatici (quota al 54%) ed i servizi alle persone (con il 52%).

Molto più critiche sono le prospettive di recupero che si prospettano finora per il turismo, che oltre ad aver sofferto gli effetti della perdita del volume di affari per la chiusura delle attività, con tempistiche più lunghe rispetto ad altri settori, è anche penalizzato dall'inevitabile protrarsi delle limitazioni nei flussi turistici esteri oltre che dagli effetti negativi legati al calo dei redditi sia sul fronte interno che internazionale. In questo contesto ben il 70% delle imprese ritiene di poter tornare a livelli di attività adeguati solo non prima del primo semestre del 2021 e Soltanto il 10% degli operatori del comparto prevede il ritorno a condizioni accettabili entro il mese di ottobre. Una situazione analoga, anche se a tinte meno fosche, è quella che viene prospettata dalle imprese del commercio: il 56% teme che gli effetti dell'emergenza Covid-19 possano durare fino al 2021. A pesare anche in questo caso, oltre alle misure di contenimento adottate che hanno modificato le abitudini di spesa dei consumatori ma anche l'aumento delle difficoltà economiche per molti nuclei familiari.

 

La gran parte delle imprese pisane (il 78%) ha dichiarato per il primo semestre 2020 un livello occupazionale stabile rispetto allo stesso periodo del 2019: una conseguenza soprattutto dei provvedimenti legislativi adottati dal Governo a tutela dell'occupazione. Sono tuttavia il 20% le imprese che nel 1° semestre 2020 hanno registrato una flessione dell'occupazione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a fronte di un 1% che hanno potuto registrare un'espansione della forza lavoro. Il settore che segnala problemi occupazionali superiori alla media è quello dell'accoglienza (turismo-ristorazione) dove la quota di imprese con occupazione in calo arriva al 45%. Il saldo tra le percentuali delle imprese in flessione e di quelle in crescita è quindi pari a -19 punti percentuali.

La presenza stabile sui mercati esteri ha però permesso una maggiore resilienza occupazionale con un saldo che, seppure negativo, risulta essere inferiore (-14 punti percentuali) rispetto alle imprese che non intrattengono rapporti con l'estero dove il saldo arriva al -20.

 

Il mantenimento e, in rari casi, l'aumento dell'occupazione delle imprese pisane nel 1° semestre del 2020 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente è determinato da alcuni fattori. Tra tutti quelli analizzati dallo studio spicca la possibilità di attivare gli ammortizzatori sociali (indicato dal 46% delle imprese di questo gruppo), l'operare in un settore non interessato dal lockdown o fare parte delle filiere considerate essenziali (in entrambi i casi il 20%) ma anche l'utilizzo del lavoro agile (15%).

A livello settoriale sono notevoli le differenze: mentre nel manifatturiero il 54% delle imprese con occupazione stabile ed in aumento ha fatto ricorso ad ammortizzatori sociali, con punte del 63% nel sistema moda (per lo più cuoio e calzature), nei servizi tale quota scende al 42% (a causa dell'elevato utilizzo da parte delle imprese del commercio e del turismo) con minimi del 17% per quelli bancari e assicurativi. Per contro gli strumenti di lavoro agile sono relativamente meno diffusi nel manifatturiero (11% delle aziende con occupazione stabile o in aumento) mentre nei servizi si sale al 17% con punte in quelli informatici e di telecomunicazione (il 56% delle aziende del settore ha optato per questa soluzione), finanziari e assicurazione (49%) e servizi avanzati di supporto alle imprese (47%). Il ricorso al lavoro agile è in relazione crescente rispetto al numero degli addetti: se l'11% delle imprese della classe 1-9 addetti ha fatto ricorso a questa tipologia organizzativa, la quota di aziende con più di 249 dipendenti arriva al 43%.

 

A determinare la contrazione dell'occupazione (un calo dichiarato dal 20% delle imprese pisane nel 1° semestre 2020 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente), contribuiscono quasi esclusivamente le forme di lavoro a tempo determinato che, causa emergenza, non si sono potute attivare o rinnovare considerati gli interventi legislativi che invece hanno impedito licenziamenti nel periodo considerato.

 

A portare il 20% delle imprese pisane a contrarre l'occupazione rispetto all'anno precedente pesano il calo della domanda (indicato dal 71% delle imprese pisane con andamento occupazionale in contrazione) ma anche lo stop operativo durante la fase di lockdown (45%) ma anche problemi di debolezza finanziaria (34%) e le limitazioni nei movimenti delle persone in conseguenza del rischio sanitario (22%). Da non sottovalutare neppure l'impossibilità di ricorrere al lavoro agile per motivi operativi o tecnici (il 17% delle imprese) così come il 6% delle imprese che per motivi organizzativi non hanno potuto far ricorso al lavoro agile. Il 9% delle aziende con occupazione in diminuzione segnala l'interruzione delle catene di fornitura causa lockdown come motivo del calo della richiesta di lavoro.

 

Nel periodo del lockdown, 8 imprese su 10 hanno dichiarato di aver attivato azioni specifiche rivolte alla salvaguardia del proprio personale. La più rilevante è la Cassa integrazione a zero ore (adottata dal 66% delle imprese, con punte che sfiorano l'87% nell'industria delle pelli-calzature e l'81% per i servizi di alloggio, ristorazione, turistici) coinvolgendo oltre 30mila lavoratori. Subito dopo la CIG a zero ore troviamo la fruizione di ferie e permessi (il 28% delle imprese, quota che sale al 51% per i servizi finanziari e assicurativi e al 35% per la logistica per un totale di oltre 18mila lavoratori) e la cassa integrazione a orario ridotto: scelta dal 21% delle aziende, per un totale di 15mila persone. Il ricorso al lavoro agile, messo in campo dal 17% delle aziende pisane per un totale di 10mila persone, vede valori decisamente più elevati -nel comparto manifatturiero- nei settori della chimica-farmaceutica e della meccanica e -nel comparto dei servizi- nei settori dell'informatica-comunicazione, finanziario-assicurativi e in quelli avanzati di supporto alle imprese.

 

Spostando lo sguardo sulle azioni da mettere in campo nei prossimi sei mesi, e quindi, in una prospettiva post-Covid19, si registra un elevato dinamismo che spinge l'83%, pari a 8.750 aziende, a programmare interventi, mentre il 17% dichiara di voler attendere l'evoluzione della situazione per poi definire un piano di attività.

 

Nel novero delle aziende che metteranno in campo iniziative nell'immediata fase post-Covid, spiccano quelle legate alla ripartenza in sicurezza. L'87% ha dichiarato di adoperarsi per l'adozione di strumenti atti a garantire il rientro in sicurezza dei lavoratori. Elevata l'attenzione all'adozione di protocolli di sicurezza sanitaria (62% imprese), la formazione del personale sui DPI (55% imprese), alla presenza di un responsabile prevenzione Covid o di in punto sanitario di riferimento (18%), anche a seguito degli adempimenti normativi previsti per la riapertura. La riprogettazione degli spazi per gli uffici e i reparti produttivi, e più in generale, degli spazi dedicati all'attività lavorativa per garantire il rispetto del distanziamento sociale, infine, completano l'articolato quadro delle misure pianificate dalle imprese per poter riprendere in sicurezza l'attività.

Nell'immediato futuro una quota (comunque ancora contenuta) di imprese, oltre a garantire le misure necessarie a ripartire in sicurezza, ha fra le priorità l'adozione o l'estensione delle forme di lavoro agile (misura pianificata da appena il 10% delle imprese), lo sviluppo di servizi a domicilio (6%) e lo sviluppo del commercio elettronico (5%). Più elevate le quote di imprese con azioni pro-attive tra le esportatrici (qui la quota di chi prevede il lavoro agile sale al 19% ed il commercio elettronico al 13%) ma anche tra le imprese classificate come digitali (21% lavoro agile e commercio elettronico al 7%).

Il 76% delle imprese pisane che hanno programmato azioni post-Covid, per fare fronte alla crisi nei prossimi sei mesi, metterà in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda, segno che fra le conseguenze immediate della pandemia vi sarà un'ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano per favorire l'allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro.

Ancora molto contenuta, invece, la quota di imprese che per fare fronte alla crisi sta pensando di investire su strategie di aggregazione aziendale (appena il 3%), o sull'assunzione di nuove competenze e figure professionali per la riorganizzazione aziendale (2%), o sullo sviluppo di nuovi modelli di business in collaborazione con Università/ Centri di ricerca, sull'internalizzazione di produzioni finora esternalizzate o sul trasferimento in Italia di attività in precedenza delocalizzate (reshoring).

 

La digitalizzazione si è rilevata un elemento fondamentale per contenere la diffusione del virus, ma anche per gestire e mitigare le conseguenze economiche. Le nuove tecnologie digitali hanno permesso a imprese, lavoratori e consumatori di continuare a interagire evitando la paralisi totale di molte attività e dei servizi essenziali come ad esempio l'istruzione. Un'azione che non finisce con l'emergenza ma che le imprese, passata la fase più acuta, puntano a incrementare: se nella fase pre-covid il 68% delle imprese aveva investito in tecnologie digitali adesso la stessa quota sale al 72% con un balzo in avanti consistente nella chimica-farmaceutica-gomma-plastica (passata dal 74% del pre all'88% del post). 


Mediazione internazionale: il modello Firenze in Uzbekistan
Il nuovo servizio per le controversie internazionali di Tashkent (Uzbekistan) sarà realizzato in collaborazione con la Camera e supportato dall’Agenzia internazionale di sviluppo statunitense (USAID)

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La Camera di commercio di Firenze, con il suo servizio di mediazione internazionale (FIMC-Florence International Mediation Chamber) e la sua Azienda Speciale PromoFirenze, contribuirà alla nascita del primo servizio di mediazione internazionale dell'Uzbekistan.

 

Il Governo uzbeko ha recentemente avviato un ampio piano di attrazione degli investimenti, e in tale contesto ha velocizzato l'attuazione di riforme legislative e della giustizia volte ad assicurare un quadro giuridico stabile in grado di supportare i cambiamenti attesi. Accanto ad azioni di miglioramento dell'efficienza dei tribunali, sono stati varati provvedimenti legislativi per sviluppare l'uso di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, come l'arbitrato e la mediazione, finalizzati a rendere più fluidi i rapporti commerciali con le imprese interessate ad investire nell'area.

 

In particolare, con un decreto presidenziale del 2018, è stato istituito presso la Camera di commercio dell'Uzbekistan il Tashkent International Arbitration Centre (TIAC), unica istituzione nello Stato che, oltre alla gestione di arbitrati condotti secondo la legislazione interna uzbeka, è autorizzata a gestire arbitrati di diritto internazionale. Dal gennaio 2019 è in vigore in Uzbekistan la prima legge sulla mediazione, di conseguenza il TIAC, prima istituzione uzbeka nel settore, è intenzionato ad istituire anche un servizio che gestirà questo tipo di procedure. L'obiettivo dell'istituto uzbeko è quello di affermarsi come punto di riferimento per la risoluzione di controversie relative ad investimenti internazionali (ovvero quelle tra Stati e investitori) e di quelle sorte nell'ambito del protocollo della Via della Seta, all'interno del quale l'Uzbekistan ha una collocazione logistica strategica. Il progetto è supportato dalla USAID (United States Agency for International Development).

 

Il Legal Reform Program (LRP), progetto dell'Agenzia Governativa Statunitense (USAID), ha l'obiettivo di supportare le azioni del governo uzbeko per l'implementazione della legislazione, sviluppare le competenze di professionisti e istituzioni, migliorare l'accesso alla giustizia e la qualità del contesto giuridico per la società civile, promuovere la parità di genere e, in generale,  creare un miglior clima per gli investimenti. Tra i progetti del Legal Reform Program rientra quello di sviluppare le competenze del TIAC in materia di mediazione, e a questo scopo si avvale della collaborazione della FIMC per sviluppare un regolamento di mediazione internazionale, funzionale al miglior sviluppo dei rapporti commerciali ed economici.

 

Per la Camera di Commercio di Firenze, tramite la FIMC, è l'occasione per mettere a disposizione l'expertise maturata in Italia, dove la legge sulla mediazione civile e commerciale è in vigore dal 2010, nonché in ambito internazionale, con la presenza di un servizio dedicato dal 2015. I compiti della FIMC saranno, tra l'altro, quelli di assistere il TIAC nella messa a punto del regolamento del servizio, di un modello di clausola di mediazione e di criteri di fissazione delle tariffe in modo che queste possano soddisfare al meglio le esigenze delle parti, sia uzbeche che estere, pubbliche e private.

 

Lo sviluppo della collaborazione tra le due istituzioni è un importante supporto per le imprese italiane che investono non solo in Uzbekistan, ma in tutta l'area dell'Asia centrale (l'Italia ha un saldo commerciale positivo di 29,9 milioni con l'Uzbekistan, in crescita del 54% nel 2019) e che, inserendo nei loro contratti clausole che prevedano la risoluzione delle possibili controversie presso la  FIMC e il TIAC, avranno a disposizione, sia a Firenze che a Tashkent, strutture e professionisti internazionali altamente qualificati per la composizione dei conflitti in modo veloce, riservato e nell'ottica di tutela degli investimenti.

 

"Siamo particolarmente orgogliosi che la FIMC della Camera di commercio contribuisca alla nascita del servizio di mediazione internazionale dell'Uzbekistan, perché questo conferma l'elevato standard della nostra struttura e va nella direzione di aumentare le tutele per le imprese che operano in quell'area, oltre a inserirsi nella tradizione secolare di Firenze città mercantile e aperta all'economia mondiale", dice Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di commercio di Firenze.

"L'Italia ha una comprovata tradizione giuridica e ampia esperienza nella gestione della mediazione come strumento di prevenzione del contenzioso e assolvimento della condizione di procedibilità. Poiché l'attaccamento al più costoso strumento del processo si sta indebolendo, unire le forze con i nostri colleghi della FIMC è una splendida opportunità di scambio e mutuo arricchimento sulle pratiche di prevenzione e risoluzione delle controversie, con particolare riguardo a quelle commerciali e d'investimenti" aggiunge Diana Bayzakova, direttore del TIAC.

 

"Una delle più importanti caratteristiche della mediazione internazionale è la possibilità per le parti - portatrici di interessi e culture differenti - di risolvere il conflitto sulla base delle loro volontà e, ove possibile, in modo da preservare la relazione inizialmente controversa. Ciò spiega il crescente impegno dei più importanti attori del settore per la creazione di strumenti capaci di incentivarne l'uso, sia a livello interno che internazionale. La prossima entrata in vigore della Convenzione di Singapore sulla mediazione, la nascita sempre più frequente di istituzioni nazionali e regolamenti specificamente pensati per la gestione di procedure di mediazione, sia tra parti private che pubbliche, ne sono la evidente testimonianza.

In questo contesto, la collaborazione tra la FIMC e il TIAC emerge come un esempio formidabile di come due organismi di recente istituzione e con sede in territori diversi e lontani tra loro possano unire le forze per rafforzare questa tendenza a sostegno delle imprese che operano nel mercato globale", commenta il Professor Attila Tanzi, Ordinario di Diritto Internazionale presso l'Università di Bologna e membro del Supervisory Board del TIAC. 


La fotografia delle imprese in provincia di Lucca al 30 giugno 2020
Dati Movimprese elaborati dall’ufficio Studi e statistica della Camera di Commercio

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Le imprese registrate in provincia di Lucca al 30 giugno 2020 risultano 42.513, un valore in calo di 201 unità (-0,5%) nei primi sei mesi dell'anno. Come era atteso, nel primo semestre 2020 si è rilevata una contrazione lievemente superiore agli anni precedenti, quando la contrazione del tessuto imprenditoriale provinciale era risultata contenuta a pochi decimi di punto percentuale. Anche la numerosità delle imprese attive in provincia ha evidenziato una lieve diminuzione nei primi sei mesi dell'anno, contenuta in 29 unità in meno (-0,1%), che ha portato a quota 36.121 le imprese operative a fine giugno. Nel confronto territoriale, a livello regionale si è registrata una diminuzione delle imprese attive del -0,2% da inizio anno, mentre a livello nazionale il calo si è fermato al -0,1%. Le maggiori difficoltà hanno riguardato i territori di Firenze e Arezzo, seguite da Prato. Stabili invece Grosseto, Livorno e Massa Carrara.

 

L'effetto Covid-19 ha iniziato a produrre i primi effetti sulla nati-mortalità del sistema imprenditoriale. Complice anche il lockdown, tra gennaio e giugno si è osservato un rallentamento nelle aperture di nuove imprese con 1.105 iscrizioni contro le 1.515 del primo semestre 2019, il 27,1% in meno. Contestualmente sono diminuite anche le cessazioni (al netto di quelle operate d'ufficio), che si sono attestate a 1.103 nei primi sei mesi dell'anno rispetto alle 1.408 dell'anno precedente, il 21,7% in meno. Al bilancio del semestre ha contribuito in positivo la componente artigiana, che ha chiuso il periodo con un saldo attivo grazie alle 418 iscrizioni di nuove imprese a fronte di 401 cessazioni, e una diminuzione delle iscrizioni di imprese artigiane (-19,8% rispetto al primo semestre 2019) più contenuta rispetto al totale imprese (-27,1%).

 

Nei primi sei mesi del 2020 la consistenza del tessuto imprenditoriale lucchese ha evidenziato dinamiche eterogenee a livello settoriale.

Si è registrata una nuova contrazione dell'agricoltura, silvicoltura e pesca che, con un calo di 10 unità (-0,4%) rispetto a dicembre 2019, è scesa a 2.336 imprese attive in provincia. Sono tornate invece a crescere le imprese operative nel settore delle costruzioni, che hanno recuperato 23 unità rispetto alla fine del 2019 (+0,4%) dopo anni di diminuzioni. L'industria in senso stretto (estrattivo, manifatturiero, utilities) ha perso 9 imprese (-0,2%), delle quali 4 unità nel manifatturiero (-0,1%), scendendo a quota 4.382 unità attive in provincia.

 

Il settore dei servizi, che nel complesso racchiude 23.163 imprese attive (il 64,1% delle imprese operanti in provincia), ha perso 30 imprese (-0,1%) nei primi 6 mesi dell'anno, con un andamento particolarmente negativo del commercio (9.241 imprese attive) che ha lasciato sul campo 104 unità (-1,1%). Altre diminuzioni di sono registrate nelle altre attività dei servizi (riparatori, acconciatori, istituti di bellezza, lavanderie, etc.), in calo di 24 imprese (-1,3%), nelle attività finanziarie e assicurative (-0,9%; 8 imprese), nel trasporto e magazzinaggio sceso del -0,7% (-6 unità), nelle attività di alloggio e ristorazione (-0,2%; -6 unità). In flessione anche il comparto della sanità che ha perso 5 unità (-3,2%), mentre i restanti settori hanno evidenziato andamenti positivi, con le attività di noleggio e servizi alle imprese in crescita di 45 unità (+3,0%) a quota 1.547 imprese attive e le attività di affitto e gestione di immobili di proprietà o in leasing salite di 36 unità (+1,5%). Sono cresciuti anche i settori delle attività professionali, scientifiche e tecniche (+17 imprese, +1,7%), le attività artistiche e sportive (+12; +1,3%), il comparto istruzione e i servizi di informazione e comunicazione.

 

Nei primi 6 mesi dell'anno il tessuto imprenditoriale artigiano lucchese ha registrato il primo incremento semestrale dal 2009, quando il comparto artigiano provinciale era entrato in crisi. L'aumento registrato, pari a +16 unità (+0,1%), ha portato a quota 11.128 le imprese artigiane attive al 30 giugno 2020 in provincia. L'incidenza artigiana sul complesso imprenditoriale lucchese si riporta al 30,8% guadagnando un decimo di punto percentuale rispetto a fine 2019. Rispetto a dodici mesi prima, però, l'andamento è negativo con un calo del tessuto artigiano di 81 imprese, pari al -0,7%.

Il settore di attività che continua a mostrare la più elevata incidenza artigiana è quello delle costruzioni, che con 4.754 imprese artigiane rappresenta il 76,3% del totale settoriale: rispetto a fine 2019 il comparto ha registrato un incremento di 28 nuove imprese, per un +0,6%. Nel manifatturiero, dove l'incidenza artigiana raggiunge il 61,4%, le imprese artigiane sono invece diminuite di 10 unità (-0,4%), scendendo a 2.583. Il comparto dei servizi, che nel complesso ricomprende 3.680 imprese artigiane, ha perso 5 imprese: la diminuzione più elevata si è registrata nelle "altre attività dei servizi" (-23 unità; -1,6%), ma si sono rilevate lievi contrazioni anche nel settore "commercio e riparazioni auto", nel "trasporto e magazzinaggio", nell'"alloggio e ristorazione" e nelle "attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento". Sono invece aumentate le imprese operative nelle "attività di noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese" (+28 unità; +4,6%) e nei "servizi di informazione e comunicazione". L'incidenza artigiana rimane particolarmente elevata nelle altre attività dei servizi (riparatori, acconciatori, istituti di bellezza, lavanderie, etc.) dove raggiunge il 79,1% (1.418 imprese), nel trasporto e magazzinaggio (58,0%; 488 imprese attive) e nel "noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese" dove arriva al 42,1%.

 

Analizzando il sistema imprenditoriale provinciale dal punto di vista del genere e del paese di nascita degli imprenditori, si riscontrano dinamiche differenziate.

Le imprese femminili attive, pari a 8.222 unità a fine giugno 2020, sono diminuite del -0,6% (-49 unità) nei primi sei mesi dell'anno, portando la relativa incidenza sul totale imprese al 22,8% (Toscana: 23,8%). Anche la Toscana ha segnato una contrazione analoga, mentre la dinamica nazionale è risultata meno negativa contenendo il calo al -0,3%.

 

In provincia l'andamento è risultato eterogeneo, con il settore del commercio (2.305 imprese "in rosa") che ha segnato una flessione del -2,1% (-50 unità), mentre per le attività di alloggio e ristorazione (1.151 imprese femminili) si è registrato un incremento del +1,4% (+16 imprese) nei primi sei mesi dell'anno. Sono poi diminuite (-0,9%) le altre attività di servizi (acconciatrici, istituti di bellezza, lavanderie, etc.) dove le imprese femminili sono 947, l'agricoltura (724; -3,1%), le attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (260; -1,5%) e quelle finanziarie e assicurative (214; -3,6%). Sono aumentate invece le attività manifatturiere (707 imprese femminili; +2,2%), le attività di affitto e gestione di immobili di proprietà o in leasing (626; +1,1%) e il noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (344; +2,1%).

I settori che presentano le più elevate quote di imprese "in rosa" in provincia appartengono ai servizi: le altre attività dei servizi, dove l'incidenza femminile arriva al 53,6%, la sanità e assistenza sociale (41,8%) e l'istruzione (35,8%). Presentano incidenze femminili significativamente superiori alla media anche i servizi di alloggio e ristorazione (32,7%), le attività agricole (31,0%), le attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (27,7%), le attività di affitto e gestione di immobili di proprietà o in leasing (26,5%) e il commercio (24,9%).

 

Le imprese guidate da stranieri sono cresciute del +1,4% nel corso del primo semestre 2020, portandosi a quota 4.117 unità attive in provincia. L'incidenza dell'imprenditoria straniera risulta pari all'11,4%, un valore inferiore a quello medio toscano (15,1%) ma superiore a quello nazionale (10,8%).

 

Le più elevate numerosità si rilevano per le costruzioni che, con 1.323 imprese attive al 30 giugno e un'incidenza straniera del 21,2%, hanno segnato una crescita del +1,6% nel semestre; segue il commercio (1.170 imprese; incidenza: 12,7%), stabile nel periodo (+0,1%). Più distanti il manifatturiero (362 imprese; incidenza: 8,6%), il noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (331 unità; incidenza: 21,4%) e l'alloggio e ristorazione (316 unità; incidenza: 9,0%). A far registrare i più elevati tassi di incremento sono le attività professionali, scientifiche e tecniche (+5,3%), il manifatturiero (+4,9%), e le altre attività di servizi (+3,0%), mentre gli altri settori presentano variazioni contenute.

 

L'andamento interno al territorio provinciale nei primi sei mesi dell'anno evidenzia un incremento del +0,2% del tessuto imprenditoriale in Versilia (16.447; 45,5% del totale provinciale) che guadagna 41 nuove unità; l'area della Piana di Lucca fa segnare invece una diminuzione del -0,3% (-50 unità) scendendo a quota 15.297 imprese (42,3% del totale) a fine giugno; la Valle del Serchio (4.377; 12,2%) registra infine un calo del -0,5% (-20 imprese).

 

Le unità locali attive in provincia al 30 giugno 2020 risultano 44.683, un valore in aumento del +0,1% rispetto a inizio anno. A livello settoriale si rileva un incremento delle unità attive nel settore delle costruzioni (+0,4%) e marginalmente nell'industria (+0,1%), mentre si registra una diminuzione nell'agricoltura (-0,4%). Stabili i servizi. 


Fase 3: 2 imprese su 5 contano di recuperare entro il 2020
E' quanto emerge dall'indagine Excelsior

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L'emergenza non è ancora finita ma le imprese già guardano al domani. Anche se permane un clima di incertezza, sono 600 mila le aziende che contano di recuperare risultati operativi accettabili entro fine anno. Mentre per ulteriori 580 mila bisognerà aspettare il 2021 per superare questo passaggio difficile.

 

E' quanto risulta da un approfondimento del sistema informativo Excelsior su un universo di 1.380 mila imprese con almeno un dipendente, condotta tra il 25 maggio e il 9 giugno 2020 da Unioncamere in accordo con Anpal, per indagare sugli impatti del  lockdown e sulle strategie per i prossimi mesi e i tempi previsti per la ripresa

 

Secondo l'indagine soltanto 180 mila imprese (il 13,1% del totale) non ha subito contraccolpi produttivi e perdite economiche significative nel corso del lockdown, a fronte di quasi l'85% delle aziende che non ha ancora potuto assorbire le ripercussioni della crisi.

 

A presentarsi più preparate a superare le barriere fisiche imposte nella fase del lockdown, sono state le imprese che hanno adottato piani integrati di digitalizzazione. Il 15,3% di queste dichiara di non aver subito perdite nel periodo del lockdown e sembra poter guardare ad un recupero relativamente meno lontano nel tempo avendo potuto adattare più rapidamente la propria organizzazione ai cambiamenti repentini determinati dalla crisi da Covid-19. Al contrario, l'insufficiente o parziale impegno negli investimenti digitali è un fattore che porta le imprese a valutare tempi di ripresa più lunghi e a riportare maggiori difficoltà nella gestione finanziaria delle fasi dell'emergenza sanitaria.

Aver potuto riprendere le attività immediatamente dopo la fase di più stretto lockdown fa sì che le imprese delle costruzioni mostrino la migliore aspettativa di recupero tra tutti i principali macro-settori. Per quasi un sesto degli operatori il superamento delle difficoltà è atteso entro fine luglio e per un ulteriore 9% entro la fine di ottobre, sebbene la quota di quelli che non hanno subito perdite nel periodo di sospensione obbligata è piuttosto contenuta (intorno al 7%).

 

Situazione più critica invece per le imprese del settore turistico. Ben il 63,1% di queste imprese ritiene di poter tornare a livelli di attività adeguati solo in tempi lunghi - non prima del primo semestre del 2021. E soltanto il 6,2% (la quota più contenuta tra tutti i macro-settori) degli operatori del comparto prevede il ritorno a condizioni accettabili entro il mese di ottobre. A pesare in particolare sono gli effetti della perdita del volume di affari per la chiusura delle attività, con tempistiche più lunghe rispetto ad altri settori, e l'inevitabile protrarsi delle limitazioni nei flussi turistici dall'estero, oltre agli effetti depressivi legati al generalizzato calo dei redditi sia sul fronte interno che internazionale.

 

Una situazione analoga, anche se a tinte meno fosche, è quella prospettata dalle imprese del commercio. Una su due teme infatti che gli effetti dell'emergenza Covid-19 della primavera 2020 possano durare per oltre un anno. A fare la differenza anche in questo caso sono soprattutto l'aumento delle difficoltà economiche per molti nuclei familiari, che ne riducono la capacità di spesa, oltre alle modifiche delle abitudini di spesa dei consumatori a seguito delle misure di contenimento.

 

Migliori capacità di reazione si evidenziano, invece, per le imprese che operano nei settori della sanità e dei servizi assistenziali privati (con il 63,5% degli operatori che già nel 2020 conta di raggiungere un pieno recupero) e dell'istruzione e dei servizi formativi privati (con il 17,4% delle strutture che traguarda alla fine di ottobre i tempi del recupero).

 

Nel manifatturiero sono invece i settori della meccanica, dei settori elettrico ed elettronico e della chimica-farmaceutica a contare di poter contenere entro la fine del 2020 gli effetti più pesanti delle restrizioni indotte dalla pandemia.

 

Le imprese del Centro Italia mettono in luce un quadro di attese peggiori sulla capacità di recupero: 130 mila imprese potrebbero arrivare al 2021 con ancora difficoltà nei fatturati. Ma sono complessivamente quasi 173 mila le imprese del Sud e Isole che prevedono di poter recuperare solo nel lungo periodo.

 

Mentre con riferimento alla base dimensionale, solo le imprese tra 10 e 49 dipendenti esprimono tempistiche sulle prospettive di recupero lievemente migliori della media. 


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