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  Cuoio e calzature: serve formazione manageriale

Firenze, 26 marzo 2006 Le aziende artigiane della filiera toscana cuoio-calzature, uno dei più importanti comparti dell'economia regionale, sono deboli negli aspetti "gestionali" ma dispongono di uno straordinario "saper fare tecnico".
È su questo patrimonio che si deve far leva favorendo, al contempo, uno sviluppo di competenze gestionali e manageriali, come marketing, logistica, controllo della qualità e un più spiccato orientamento all'internazionalizzazione.
Tuttavia, la larghissima parte degli imprenditori artigiani del settore (quasi il 70%) non attribuisce molta importanza alla propria formazione, se non a quella di stampo strettamente tecnico-produttivo effettuata all'interno dell'impresa che tra l'altro è la modalità preferita per i propri dipendenti (il 60,5%).
Sono le conclusioni alle quali è giunta la ricerca dell'Osservatorio Regionale Toscano sull'Artigianato, relativa ai fabbisogni formativi delle aziende artigiane conciarie e calzaturiere in Toscana, condotta dal dipartimento Economia Aziendale dell'Università di Pisa.
Uno studio che ha preso in analisi un campione di 129 aziende artigiane operanti nelle diverse fasi della filiera (dalla concia al calzaturificio passando per la modelleria e per le altre fasi della lavorazione) e 7 imprese leader del settore. Un comparto che si concentra nelle province di Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia ed Arezzo, dove si trovano importanti sistemi distrettuali legati al settore.
Il settore calzaturiero toscano, lo ricordiamo, occupa il secondo posto tra le principali regioni "calzaturiere" italiane per numero di imprese attive (circa 2.500) ma presenta una dimensione media d'impresa ridotta: nella fascia 1-49 addetti si concentra più del 70% delle aziende toscane. Il comparto ha attraversato un momento di forte difficoltà e ha visto ridurre l'export (di circa un quarto dal 2001 al 2005), il giro d'affari ed il numero di imprese, manifestando le criticità maggiori proprio nella componente artigiana.
Il settore conciario toscano si colloca al primo posto fra le regioni italiane per numero di aziende attive ed al secondo posto per valore della produzione e numero di addetti, con una dimensione media d'impresa di 8,4 addetti. Come per il calzaturiero la concia artigiana mostra forti difficoltà anche se, recentemente, si assiste ad un recupero (+2,3% il fatturato artigiano della concia e +0,9% quello del calzaturiero nel 2006).
Secondo la ricerca, i settori conciario e calzaturiero toscano mostrano significative differenze a livello tecnico-produttivo, formativo e in relazione alla situazione competitiva congiunturale evidenziando la necessità di sviluppare competenze "incrociate" tra produzione del cuoio e di calzature per ridurre il time to market, la difettosità e gli sprechi derivanti dalla lavorazione.
Di fronte alle difficoltà, gran parte delle imprese conciarie hanno cercato nuovi sbocchi all'estero e verso altre tipologie produttive, alimentando un processo, ancora non concluso, di concentrazione, sviluppo dimensionale e di delocalizzazione di alcune fasi produttive.
Il comparto calzaturiero, invece, ha reagito con maggiore ritardo, con nette differenze tra le diverse tipologie di lavorazione: grave per la maggior parte dei tomaifici (pressati da una forte concorrenza internazionale), migliore per le modellerie/studi di progettazione e per parte dei produttori di componenti (fasi che incorporano un più elevato valore aggiunto), mentre appare più diversificata la situazione per i calzaturifici.
I problemi formativi sono attenuati, specie quelli di natura tecnica, nel settore conciario, grazie alla più prolungata esperienza maturata dalle strutture formative (principalmente il Po.Te.Co.), alla maggiore vicinanza territoriale tra le aziende della filiera e alla presenza di un "vero distretto" come quello di S.Croce. Per il settore calzaturiero la situazione è, invece, assai meno evoluta e si sente pertanto la necessità di valorizzare le iniziative attualmente presenti sul territorio (ad esempio il Ce.se.ca.).
La scarsa propensione degli imprenditori artigiani ad aderire personalmente o a far partecipare propri familiari o dipendenti a corsi di formazione è un dato di fatto che emerge dalla ricerca tanto rispetto allo sviluppo di competenze gestionali e manageriali quanto, ma in misura minore, per talune competenze tecnico-produttive. Pertanto, secondo lo studio, il problema centrale di ogni iniziativa formativa deve essere quello di mobilitare le aziende attraverso una migliore circolazione dell'informazione e al ricorso a modalità "non convenzionali" di formazione: vale a dire diverse dai corsi strutturati in aula. Per la formazione manageriale, ad esempio, i ricercatori suggeriscono l'attivazione di "relazioni" con soggetti potenzialmente utili ai fini di sviluppare opportunità di business o dalla possibilità di interfacciarsi con imprenditori di successo non direttamente competitori ed esperti di settore.
Per quanto riguarda la formazione tecnica i ricercatori ravvisano la necessità di interventi "di sistema" per valorizzare i mestieri artigiani. È evidente infatti che alcune attività possono ancor oggi costituire opportunità interessanti per i giovani: alcuni mestieri tecnici di alto livello per il conciario, i mestieri legati alla creatività ed allo stile, quelli connessi ai processi di internazionalizzazione, di valorizzazione del prodotto, di comunicazione e marketing o legate alle produzioni su misura di qualità. Tuttavia, il posizionamento competitivo e l'assetto produttivo di molte aziende calzaturiere e conciarie toscane è ancora inadeguato e a livello complessivo il rinnovamento, che necessariamente passerà attraverso ulteriori fasi di scrematura, è legato in larga misura alle abilità imprenditoriali.
Dalle interviste ai testimoni privilegiati, imprenditori industriali e artigiani, emerge la necessità di favorire l'attitudine all'innovazione imprenditoriale, lo sviluppo di buone pratiche di governance ed alcune competenze manageriali di area funzionale divenute ormai fondamentali anche per le piccole aziende artigiane. Non tutte devono però essere sviluppate internamente alle aziende ma, in relazione alle caratteristiche dimensionali e strategiche delle aziende artigiane, devono essere sviluppate a livello di filiera. In particolare, nelle aziende artigiane che non hanno una massa critica adeguata, alcune competenze (controllo di qualità, strumenti di tutela della proprietà intellettuale ecc.) possono essere condivise con altre realtà e/o gestite da strutture di metamanagement. Anche in questi casi è necessaria però una specifica maturazione manageriale e la piena consapevolezza dell'importanza delle competenze non strettamente tecniche.
Una valida azione di politica industriale dovrebbe, quindi, orientarsi a favorire non tanto la nascita e lo sviluppo dell'imprenditorialità calzaturiera e conciaria come tale, quanto la nascita e lo sviluppo di "buona" imprenditorialità dotata anche di competenze manageriali e di una chiara visione dei cambiamenti in corso nella competizione globale e consapevole della impossibilità di competere sui costi con le produzioni delocalizzate.
 

 
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Il punto di vista di Pierfrancesco Pacini - Presidente di Unioncamere Toscana
 

"La ricerca evidenzia come il sistema artigiano della concia e delle calzature toscano rappresenti un patrimonio di conoscenze che si è arricchito nel tempo e che è necessario non disperdere. Se dal lato produttivo le imprese sembrano ancora in grado di formare internamente buona parte delle figure professionali necessarie, è fondamentale per i nostri imprenditori acquisire alcune conoscenze manageriali diventate ormai essenziali anche per le piccole realtà artigiane. La formazione rappresenta il primo fondamentale strumento per garantire alle imprese la crescita e quindi la capacità di competere. Questo vale per le grandi e soprattutto per le microimprese che hanno bisogno di svilupparsi e crescere dimensionalmente.

Preoccupa a questo proposito rilevare come il 70% degli imprenditori, senz'altro provati da anni di forte crisi del settore e da una scarsa valenza attribuita alla formazione classica in aula, non reputi necessario partecipare o far partecipare i propri familiari a iniziative di carattere formativo. Qui ritroviamo il problema del passaggio generazionale. Bisogna assolutamente invertire questa tendenza coinvolgendo quanto più possibile le imprese e ricorrendo anche a modalità "non convenzionali" di formazione manageriale come ad esempio le tavole rotonde a cui far partecipare imprenditori di successo e nelle quali far convergere esperti del settore moda, consulenti e docenti di materie aziendali e giuridiche".

 
 
Uffici Stampa
 

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